11.4.20

quarantena.

Me la immaginavo diversa, la Pasqua, quest’anno. E non tanto per la domenica in sè perché sarà una semplice domenica primaverile, come tante altre. Ma ero convinta che sarei stata stanca, con le dita sporche di cioccolato, nauseata dalle uova e con i polmoni pieni zeppi dei coloranti e del burro di cacao che ogni anno spruzziamo per colorare i soggetti pasquali. Orsi, conigli, rane, api, cavalli.. qualsiasi cosa posa contenere un mini regalo. Sfere e semisfere, incollate tra loro, per dare forma a diversi animali. Carini, abbastanza costosi in termini di tempo e denaro, però, mi tocca ammetterlo, sono davvero carini. 

Mi ero immaginata un uovo bigusto, fondente e bianco, con all’interno tanta granella di pistacchio da far venire le bave alla bocca a chiunque, pure a me che il pistacchio manco piace. Avevo anche pensato per un po’ a cosa avrei potuto metterci dentro..
Mi immaginavo i giorni prima della festa passati a svegliarmi presto, che si sa i lievitati decidono loro i tempi e come ogni anno pensavo mi sarei ritrovata a fare i turni a lavoro, dall’alba al tramonto, a guardare la tuffante rigirare gli impasti, tra un cigolio e l’altro, e a formare le colombe, a ricoprirle di glassa, mandorle e granella di zucchero.

Già, me la immaginavo completamente diversa.
Per non parlare della Pasquetta, tanto attesa ogni anno.. comunque non vedo l’ora passino questi due giorni, anzi farei direttamente un salto a maggio. Che di tempo ne ho già perso abbastanza..

Constatato il fatto che questo non è decisamente il mio anno fortunato visto tutto quello che mi è capitato fino ad oggi, vorrei solo potermene stare per un po’ lontano dai miei pensieri.

Passano le giornate lente e noiose. Il sole caldo e limpido entra dalle finestre e mi ordina ogni mattina di alzarmi dal letto. Le gambe pesanti oppongono un po’ di resistenza ma la mia dipendenza dalla caffeina mi da la forza di alzarmi ed arrivare alla moka. È tutto automatico, come un mantra preparo la mia dose e nel silenzio più totale assaporo quello che credo essere il mio gusto, aroma e profumo preferito. Amaro e macchiato con una goccia di latte di mandorla.
I miei pensieri scorrono sempre troppo veloci e confusi e alle volte la mia mente mi regala l’occasione di ricordare i sogni notturni. Sogni strani, sogni misti a ricordi. È come rileggere dei capitoli di un libro che hai chiuso da tempo. Scopri dettagli nuovi e non sai mai se siano veri o solo frutto della tua altrettanto strana fantasia.
Lascio che le giornate scorrano lentamente. Amo starmene a letto ad ascoltare i discorsi dei vicini. Mi diverto a cercare di capire cosa stanno facendo solo ascoltando i rumori provenire dal piano di sotto o dal muro della cucina. Ogni tanto il Gatto richiama la mia attenzione, ha fame, sta all’ingrasso pure lui come il resto delle persone in quarantena. Penso trovino rassicurazione nel cibo.. passano le loro giornate barricate in casa in compagnia di un lievito madre a cui hanno addirittura dato un nome. Strana la gente..
Sto guardando pure un anime. Io che di cartoni giapponesi non ne ho mai guardato neanche mezzo. Una serie di Netflix un po’ macabra in effetti.. mi mancava questa sfumatura del mio carattere che penso sia tornata a galla per via della solitudine forzata decisamente troppo lunga. 

Non ho ancora iniziato a parlare da sola, il che credo essere una cosa positiva visto e considerato che comunque parlo poco anche al cellulare e mi riservo di scrivere qui solo quando ne ho davvero bisogno.

Sto cercando di riordinare le idee ma più ci provo e meno ci riesco. È tutto così dannatamente surreale. Cerco di essere razionale, di pensare al dopo, ma non riesco ad immaginarlo perché non so neanche quando e se mai ci sarà un dopo. Allora provo a pensare al presente e a ciò che mi appartiene. Ma nove volte su dieci finisco con il perdermi tra i sogni e le occasioni perse, così concludo sempre con il mandare a fanculo tutto, infilarmi le cuffiette e accendere Spotify. Se in tutto questo mi avessero lasciato la possibilità di andare a camminare giuro in questo momento sarei già almeno al terzo paio di scarpe.

Respiro. Spengo la luce e mi metto a dormire. Cioè chiudo gli occhi e appoggio la testa al cuscino. Le gambe piegate a formare un quattro, via i calzini e sto. Come sempre, ci si prova a dormire, tanto ormai è solo un’illusione, un paio d’ore in meno in cui pensare prima dei soliti risvegli biologicamente preimpostati durante la notte. 

La gente è strana ma mi rendo conto che io non sono da meno. 

Silvia
 

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